7.In silenzio comunico lo stesso.

Il silenzio è una fonte di grande forza.
(Lao Tzu)

Perchè non parli?  E’ successo qualcosa?

Stare in silenzio è comunque una forma di comunicazione, è un segnale che ha una forte valenza comunicativa: attraverso esso possiamo trasmettere a chi ci sta vicino collera, indifferenza, imbarazzo, sgomento, indignazione, ansia…..

Anche se non parliamo stiamo comunicando lo stesso.

Non sottovalutiamo il silenzio, gestito male trasmette informazioni negative al nostro interlocutore; ricordo un episodio accaduto durante un seminario che stavo seguendo all’università, all’improvviso va in panne il proiettore  ed il relatore piomba in un silenzio tombale ed insieme a lui tutto il suo pubblico(più di cento persone). Il nostro docente, anziché starsene inerte, con la faccia da ebete, si fosse rivolto alla platea e ci avesse fatto un solare sorriso, sicuramente noi avremmo ricambiato con lo stesso gesto.

Spesso e volentieri siamo spaventati dal silenzio, perché non ci fa essere a nostro agio, perchè non sappiamo gestirlo. Sfuggiamo sempre al silenzio e pur di non restare in questa condizione, ci sforziamo di dire qualunque cosa di carino, giocando a fare i simpatici( una simpatia di plastica , non spontanea che il nostro interlocutore percepisce benissimo!).

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La vera comunicazione nasce proprio dal “non detto“, da ciò che viene omesso in una comunicazione verbale. Il silenzio non significa mancanza di parole, significa sforzarsi a superare quella linea sottile immaginaria del confine ,che separa noi ed il nostro interlocutore

Solo un linguaggio che prevede al suo interno un posto specifico per il silenzio è in grado di stabilire un contatto emotivo positivo con la realtà.

Attraverso il silenzio raggiungiamo la più grande forma di dialogo che si possa raggiungere, ci aiuta a riflettere, a pensare, a conoscersi, a valutare, a goderci la vita. Esso è un mezzo per arrivare alla nostra anima e a quella del nostro interlocutore.

Il silenzio non ci inganna mai e soprattutto non inganna il nostro pubblico. Esercitiamoci a fare delle pause  durante la nostra comunicazione verbale e allo stesso tempo concentriamoci sulle nostre emozioni, sulla nostra gioia nell’affrontare il passo successivo del discorso: il nostro pubblico sarà contento nel  percepire tali emozioni ed avrà fretta di risentire le nostre parole.

Bisogna aprire il nostro cuore e solo in quel momento potremmo vedere che il silenzio è l’unico mezzo vero e sincero che abbiamo a disposizione.

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10.Come comunicare in modo diretto.

Parlo con te in maniera diretta, cercando di trasmetterti tutte le emozioni che mi avvolgono e guardandoti dritto negli occhi senza mascherare e nascondere niente.

Sono sicuro che apprezzerai ciò che sto per dirti , lo so”.

Questo frammento di dialogo avvenuto con un mio amico, ha sortito un eccellente effetto : egli  aveva bisogno di un mio consiglio sincero, su una questione che gli stava molto a cuore.

Ho usato la tecnica del parlare a viso aperto, cercando di attirare un feedback positivo da parte del mio interlocutore, perché  volevo a tutti i costi che accettasse il mio consiglio (molto valido, dal mio punto di vista!). Perché gli volevo davvero bene!

Comunicando direttamente con il nostro interlocutore, l’influenza e la persuasione che possono nascere  sono nettamente più efficaci , efficienti e persuasivi.

La comunicazione diretta si basa su un principio fondamentale, l’interlocutore non deve mai percepire un senso di manipolazione da parte nostra, se ciò avvenisse, il risultato potrebbe essere altamente negativo, procurando in lui un rifiuto totale alle nostre parole( …anche quelle più sacrosante!).

Per essere persuasiva, però, la comunicazione ha bisogno anche di altri complementi , tra questi  quello della: “parola giusta al momento giusto”.

Mi spiego meglio!( con un esempio…).

Sicuramente vi sarete trovati a fare la fila alla cassa di un supermercato. Uno studio ha dimostrato che, usando nella frase  la parola “Perchè”, il responso della nostra comunicazione cambiava.

“Scusi, ho solo 3 cose da pagare. Posso passare avanti alla fila, perche’ ho una grande fretta?” il 95% dei casi ha ottenuto un “si”, mentre il 63% dei casi ha ottenuto lo stesso “si” pronunciando la frase “Scusi, ho 3 cose da pagare. Posso passare avanti alla fila?”

Aggiungendo di nuovo l’avverbio “perchè ” alla frase “Scusi, ho solo 3 cose da pagare. “Posso passare avanti alla fila, perche’ ho una gran fretta?”, la percentuale risaliva al 93%.

Questo semplice esempio, ci fa capire che una sola parola, incastrata bene, può attivare il meccanismo di persuasione.

Perché al momento giusto?

Perché la maggior parte delle persone, trascorrono il loro tempo di una giornata in uno stato di scarso pensiero cosciente; esse sono abituate a fare determinate azioni in maniera abituale, compiendo azioni automatizzate( di routine). Entrare in questa fase, ad esempio con la parola giusta, ci agevola ad essere più persuasivi nella nostra comunicazione.

 

9.Un’auto senza benzina non parte!

Personalmente una persona che parla a ripetizione, mi dà un po’ fastidio(…e non solo a me!), anche la mimica facciale ne risente. In persone che si comportano in tale maniera, la loro figura è pressochè rigida e rigide sono le loro parole.

Tali persone quando parlano non prendono aria, tale condizione implica una comunicazione ostica nei confronti dei loro interlocutori. Il contenuto del loro discorso potrà anche essere eccellente, ma meramente inefficace; un’auto bellissima senza benzina non parte, alla stessa maniera la loro comunicazione non è persuasiva perchè non gestiscono bene la respirazione( l’aria è come la benzina per l’auto).

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Mentre stiamo parlando non dobbiamo mai rimanere senza aria, dobbiamo gestire bene la nostra respirazione per poter essere in grado di portare le nostre parole , la nostra enfasi, le nostre pause in alcuni punti per poter far accendere le luci delle emozioni e della curiosità nella mente del nostro interlocutore.

Non mi piace parlare di tecnicismi in questo blog, ma in questo caso è necessario!

La respirazione si compone di due fasi, inspiratoria ed espiratoria. Nella prima fase , immettiamo aria nei polmoni. In tale fase,  abbiamo bisogno di energia per contrarre i muscoli. Nella seconda fase, tale energia non è necessaria a meno che non dobbiamo espirare forzatamente( tale fase è detta passiva). In questa fase, i polmoni non fanno altro che compensare il divario tra pressione interna ed esterna, rilasciando la muscolatura.

Le forze che fanno espandere i nostri polmoni e quindi creano il processo di inspirazione, sono date dai muscoli intercostali interni e dal diaframma. Se usiamo maggiormente i muscoli intercostali interni, facciamo una respirazione costale; se utilizziamo maggiormente il diaframma, facciamo una respirazione diaframmatica.

Molti libri su tale argomento  consigliano di usare la respirazione diaframmatica per parlare bene in pubblico. Perchè solo in pubblico? Io consiglierei di usarla sempre in ogni circostanza( è bello farsi capire da qualsiasi interlocutore: nostro marito, nostro figlio, il nostro cane,ecc…)

Il diaframma è un muscolo che ha tante funzioni, una di queste è quella di permettere il processo respiratorio attraverso la sua contrazione. Esso si trova alla base dei polmoni ed il suo innalzamento permette ai polmoni di riempirsi totalmente di aria.

Un esercizio classico, per poter imparare a respirare con il diaframma, è quello di sedersi su una sedia e posizionarsi di fronte ad uno specchio.

La mano deve essere posizionata sulla pancia e nel frattempo dobbiamo iniziare ad inspirare aria dal naso ed espirare con la bocca. Attenzione, però le nostre spalle non si devono alzare, ma si deve solo muovere la nostra mano sulla pancia. Pensiamo, ad esempio, per far riuscire l’esercizio, di avere tra la nostra mano e la nostra pancia un palloncino( di colore : “il vostro preferito”) da rompere con il movimento addominale. Nella fase dell’inspirazione, fate una leggera pressione verso la vostra pancia, mentre nella fase dell’espirazione eliminate la leggera pressione( Però, non allontanate la mano dalla pancia!)

Sarebbe opportuno, fare questo esercizio in una situazione di calma, perché l’espirazione non deve mai essere forzata; bisogna aprire la bocca e fare uscire ,con calma, l’aria dai polmoni. Inoltre non bisogna avere fretta nel liberare aria dai polmoni, facendo attenzione che il suo flusso verso l’esterno sia costante. Per poter gestire questo flusso, il consiglio potrebbe essere di mettere una candela dinnanzi a noi e controllare che la fiamma non si spenga e che rimanga dalla parte opposta rispetto alla nostra bocca. ( procedimento corretto)

8.Intono una canzone.

Oggi mi sono recato, per la prima volta, in un negozio  di telefonia, per comperare una batteria (il mio telefono non dava più segnali di vita!) ; all’entrata ho notato che c’era una cassa libera, mentre l’altra lasciava una coda di circa dieci persone. Alla commessa libera ho esposto il mio problema, e lei , (a dire il vero?), mi ha dato tutte le spiegazioni tecniche di cui necessitavo. Mentre parlava, però, ho capito perché se ne stava solin soletta nella sua postazione. La sua voce era così stridente e così priva di calore, che non vedevo l’ora di uscirmene con la mia nuova batteria , al costo di perdermi anche qualche passaggio.

A seconda di come usiamo  la nostra voce , generiamo stati d’animo diversi nell’interlocutore. La voce viene registrata dal nostro cervello come un’informazione che prescinde dal contenuto dei messaggi che essa porta con sé, quindi la voce dovrebbe essere curata quanto il contenuto stesso.

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Nell’uscire, però, ho sentito provenire dall’altra postazione una voce ben impostata , ben modulata, calda, avvolgente che sicuramente stava ammaliando e conquistando i suoi clienti.( solo in quel momento, ho capito del perché ,l’altra cassiera ,  avesse generato  una fila di cotanta gente?).

In generale, non siamo abituati a dare il giusto peso alla voce nell’interazione con gli altri e per questo la potenzialità persuasiva, spesso si perde. Si cerca sempre di far attenzione ai contenuti , mentre la voce viene usata così come viene, invece di governarla intenzionalmente.

Se vogliamo persuadere, rendere accattivante il nostro discorso, dobbiamo prenderci cura di più della nostra voce, saperla modulare,  alzarne il volume per abbassarlo subito dopo, quando desideriamo marcare una frase; rallentarne la velocità per far risaltare concetti complessi, oppure accelerarla per sfuggire all’attenzione dell’interlocutore.

Alcuni consigli utili potrebbero essere:

  • la pronuncia non deve essere monotona, quindi variare spesso la vocalità
  • eliminare le non parole ( Uhm, evvero ,ok, allora, insomma, ecc)( vi è mai capitato di ascoltare un disco al vinile un po’ rovinato, ecco!..tali parole sortiscono lo stesso effetto)
  • Alle elementari, vi hanno insegnato a fermarvi al punto durante la lettura?…Perché quando parlate non lo fate? Le pause sono molto più efficaci delle non parole, durante una discussione.
  • Chiedersi “come è la nostra voce?” Noi non ci sentiamo come ci sentono gli altri (questione fisica): prendere coscienza della voce.
  • Non concentrarsi esclusivamente sull’impostazione,che toglie la nostra naturalezza(ognuno  deve rispettare la sua unicità!)
  • Avere la consapevolezza del “IO-SONO“(naturalezza): Se abbiamo consapevolezza, allora possiamo utilizzare efficacemente la nostra voce. Possiamo darle una forma ogni volta adeguata alle nostre necessità, ai nostri obiettivi e al luogo in cui ci troviamo.

11.E quando l’interlocutore è il nostro capo?

Il capo è sempre il capo: l’ambiente di lavoro  è un compromesso di equilibri ( ciò, lo dobbiamo sempre tener presente). Non mi sento di nascondere la pura difficoltà emozionale che ci può avvolgere ,quando il nostro interlocutore è il nostro datore di lavoro( Un preside, un dirigente, un capoufficio, ecc…).

LA PILLOLA BISOGNA ZUCCHERARLA!

Anche se il motivo è banale, il nostro interlocutore( ad esempio il nostro capo) può perdere il controllo razionale del suo pensiero, cambiando i comportamenti soliti, tendendo a dominare la situazione. A volte parla, anche a vanvera, solo per il gusto di sfogarsi.

Che fare in questi casi?

Anche se è difficile, dobbiamo mantenere la calma e lo dobbiamo ascoltare attivamente.

Aspettiamo placidamente che si sfoghi, mostrando un acuto interesse alle sue parole cercando di immedesimarci nel suo ruolo e nel suo stato d’animo . Lo guardiamo attentamente negli occhi e non lo interrompiamo mai ( Egli sta aspettando solo questo, per allungare il brodo della sua ira). Una volta che la pentola a pressione non fischi più, (SOLO IN QUESTO MOMENTO) incominciamo a formulare frasi del tipo:

Vorrei essere certo di capire cosa Le preoccupa di più“.

Anche io avrei reagito così, se mi fossi trovato nella sua stessa situazione“.

In questa fase, quindi è bene non entrare da subito nei contenuti del problema, ma cercare le cause del suo stato d’animo.

La soluzione, bisogna proporla, solo quando l’emotività del nostro interlocutore ritorna sotto il suo controllo e solo in questa circostanza iniziamo a dire la nostra e formulare il nostro piano di azione, esponendo le nostre soluzioni. Insomma, dobbiamo portarlo ad arrivare a farci formulare la fatidica domanda: ” E tu, cosa proponi?

 

 

1.Introduzione. Che bello farci capire!

Per chi non mi conosce, sono un docente di matematica  di scuola media superiore, specializzato in formazione e comunicazione. Insegno una materia reputata, da anni or sono, asettica e difficilissima; eppure usando tecniche comunicative riesco comunque ad attirare l’attenzione degli alunni ( anche quelli più demotivati).

Il mio motto è condividere le mie conoscenze, questo spirito di aggregazione e condivisione mi fa sentire davvero bene, e non mi pesa affatto farlo conoscere anche agli altri.( come in questo caso che sto per scrivere i capitoli del mio nuovo ebook, condividendoli passo passo con voi).

Adoro insegnare e soprattutto  farmi capire: quando la platea è attenta, quando l’interlocutore con i suoi occhi pieni  di puntini interrogativi ti incentiva a continuare nel discorso, quando sorride, significa che stiamo comunicando bene e stiamo trasmettendo informazioni( seppure altamente tecniche) ma con code luminose di emozioni. (La passione si può trasmettere!)

Noto,(molto spesso) che le persone esitano nel voler comunicare trasmettendo le loro emozioni, rinchiudendosi nella  sinteticità e facendo si che i  propri occhi non incrocino mai la persona che gli sta di fronte.

Siamo soddisfatti di questo “modus operandi?”. Credo proprio di no.

La capacità di comunicare bene ci arricchisce, è un pilastro portante della casa della nostra autostima.

Mi piace, nei miei seminari introduttivi, sottoporre al mio pubblico la seguente situazione:(Immaginate e riflettete)

Siete su un palcoscenico di un teatro al buio,  all’improvviso si accendono le luci e vi trovate di fronte ad una platea di circa mille persone, duemila occhi che mirano e centrano la vostra presenza nell’attesa che le vostre corde vocali inizino a vibrare.

Siete curiosi della reazione? Siete curiosi del responso?

Niente di preoccupante(forse lo stesso sta accadendo anche a voi in questo momento): un silenzio assoluto ,interrotto soltanto dal ronzio di qualche mosca presente nella stanza.

Moltissime persone non amano parlare in pubblico, figuriamoci al proprio pubblico. Ma noi non apparteniamo a questa tipologia, perché ci piace comunicare, ci piace trasmettere dal vivo e attraverso in nostri post le nostre emozioni e passioni, ci piace scoprire il continuo di questo post.

 

 

 

 

 

 

 

1.1.La fortuna è nelle nostre parole.

Post scritto a Febbraio 2016

Oggi è carnevale.

Nella mia città natale questa festa pagana è molto sentita dai paesani( ci sono sfilate di carri, la corte di re carnevale, i bambini vestiti a maschera in corteo), eppure questa mattina entrando in un bar per prendere un caffè(…anche in questo giorno di festa , di attesa e di fermento) ho trovato una fila immane alla cassa del  10 e lotto ( la ricerca della fortuna non subisce distrazioni, ho pensato!)

Il nostro desiderio di stare bene, di essere fortunati, ci spinge al gioco in maniera così ripetuta da annientare tutto, persino la nostra vita.

Ma è mai possibile che non si riesce a capire, che dovremmo giocare tutti i giorni ,per un milione di anni ,la stessa combinazione per avere una discreta probabilità di vincere?

Mi ha colpito un tizio(questa mattina al bar) penso che non fosse entrato, inizialmente, per giocare: vede la fila,.. e che fa?.. si incolonna anche lui per tentare la fortuna, pazzesco!.

E’ mai possibile, essere così ciechi di fronte ad una smisurata improbabilità di vincere?

Preferiamo sempre cullarci nell’idea di avere un colpo di fortuna?

L’allegria, il fermento vitale era lì fuori e loro incolonnati per giocare? 

Questo episodio, mi ha fatto ritornare alla mente, un principio adottato dagli oratori dell’antica Grecia, che ho letto anni fa in un libro di retorica:”Il sembrare vero conta più dell’essere vero“.

Per rendere la nostra comunicazione persuasiva, dovremmo rendere la nostra tesi del discorso “verosimile“, ma non crudelmente “vera”:  quindi cerchiamo di dare più speranza ( nei nostri discorsi), all’interlocutore. Egli ne ha bisogno, lo desidera!

3. Come andrà a finire il nostro discorso?

Nel post precedente abbiamo parlato dell’introduzione del discorso improvvisato.

Attraverso esso, abbiamo fornito ai nostri uditori l’informazione del punto di arrivo del  viaggio (consentitemi questo eufemismo…) che ci accingeremo a  percorrere attraverso le nostre parole. Il viaggio durerà circa due minuti(la fine del discorso), quindi decideremo di esprimere il corpo del nostro discorso attraverso due punti importanti. Quando si improvvisa un discorso, si tende a superare i punti prefissati il prima possibile, trascurando dettagli importanti che ci fanno cadere nel vago. L’essere vaghi distrae il nostro pubblico, quindi dobbiamo a tutti i costi rallentare ed essere quanto più precisi possibili nello sviluppo dei punti prestabiliti. Sappiamo benissimo, che non abbiamo avuto tempo di preparaci sull’argomento, ( tutto è accaduto  così all’improvviso?), ma il nostro compito è sempre quello di non far distrarre i nostri uditori: per esempio potremo usare i verbi più vivaci che conosciamo, e potremo introdurre esempi semplici a supporto del discorso che sta evolvendo, allo scopo di aiutare  il nostro uditore(il nostro pubblico) a farci capire meglio e a rafforzare quello che stiamo asserendo.

Mi rendo conto che riuscire e rispettare i punti predetti, per chi non è allenato, per chi si sta avvicinando solo adesso a questo argomento, risulta difficile metabolizzarlo e metterlo in pratica.

Repetita iuvant” dicevano i latini: non ci resta che esercitarci, è l’unica strada ,per il momento, da percorrere per far si che la nostra mente diventi più flessibile e pronta.

Esercitarsi significa riprendere, ad esempio, un discorso che non è mai giunto alla fine, e riproporlo: ad un amico, ad un familiare oppure di fronte ad una webcam parlando liberamente (e perchè no?, poi  pubblicare questo video su  youtube).

Personalmente consiglio di fare un video del vostro discorso  perchè, solo nel rivedervi, capirete( anche intuitivamente) quali punti del vostro interloquire e della vostra mimica facciale sono da modificare e ottimizzare. Più video farete e più noterete un certo miglioramento.

Trovo che sia un modo efficace per lenire quella rigidità nel trovarsi davanti ad una telecamera oppure davanti ad una vasta platea.

Ricordo una  frase di una mia amica, che dopo che le avevano scattato una foto, nel guardarla disse:” non so se mi fà più innervosire la macchina fotografica o il tizio che vuole che dica “Cheese?

Non abbiamo bisogno di un tizio che ci dica “Cheese“, abbiamo bisogno di fare un bel respiro, buttare fuori l’aria con tranquillità rilassando braccia schiena e spalle, per  porsi in maniera naturale , per pensare che è bello essere “se stessi” quando ci troveremo di fronte all’obiettivo di una macchina fotografica(telecamera), quando ci troveremo di fronte a quegli occhi luccicanti del nostro pubblico, che non vede l’ora di scoprire come va a finire il nostro discorso.

5.Per il nuovo anno non convinco, ma persuado!

Convincere è una cosa… ma persuadere è tutt’altro!

Nel linguaggio corrente, spesso e volentieri, usiamo il termine convincere come se fosse un sinonimo di persuadere.

Quando noi vogliamo convincere qualcuno, non facciamo altro che adottare delle strategie verbali per superare degli ostacoli logici e razionali

Al contrario , quando vogliamo persuadere facciamo appello a meccanismi emotivi e passionali, sostanzialmente usiamo la stessa arte di quando vogliamo sedurre qualcuno.

Comunicare in maniera persuasiva con il nostro interlocutore significa trasmettere idee nuove in maniera coerente con le sue attese , i suoi gusti , i suoi valori di fondo, utilizzando un messaggio positivo, gradevole, divertente,chiaro, ordinato e compiuto, al fine di suscitare curiosità ed un amichevole interesse.

Molto spesso, questi aspetti del messaggio agiscono sul soggetto in modo inconsapevole ed inavvertito, perché attivano in lui delle risposte automatizzate e condizionate.

Per attuare una comunicazione persuasiva, ci viene in aiuto lo studio portato avanti da William McGuire dell’Università di Yale (U.S.A.), il quale sostiene che la persuasione si può compiere seguendo scrupolosamente il seguente processo di sei fasi:

  1. La presentazione del messaggio, nella quale il ricevente viene messo in grado di essere raggiunto dal messaggio.

2)  l’attenzione, che il ricevente deve prestare al messaggio

3) la comprensione dei contenuti, assicurata da un “codice” di trasmissione adeguato (si cercano di evitare linguaggi troppo specialistici o comunque di difficile comprensione),

4) l’accettazione da parte del ricevente della posizione sostenuta dal messaggio, nella quale si instaura un sorta di sintonia col messaggio ricevuto;

5) la memorizzazione della nuova opinione, in maniera da farla propria;

6) ed infine, il conseguente comportamento.

Inoltre, anche la struttura stessa del messaggio offre importanti appoggi per veicolare la persuasione.

La vividezza del messaggio, innanzitutto, in cui la costruzione del discorso, i colori, i suoni,concorrono a rendere il messaggio più vivido e facilmente percepibile.
L’ordine degli argomenti, dove gli studi eseguiti sulla memoria e sul livello di attenzione hanno portato in rilievo due importanti effetti utili a questo proposito: di fronte a una serie di informazioni adiacenti, le persone tendono a ricordare meglio le prime della serie (effetto primacy) e le ultime (effetto recency),mentre quelle poste nel corpo centrale dell’esposizione vengono meno facilmente ricordate.

Esco a fare due passi alla ricerca di “Fili di felicità”

Questo libro (o meglio questo e-book ) è nato un giorno in cui mio figlio  Lorenzo , mentre giocava nel giardino di un centro commerciale ad un certo punto, corre verso di me chiedendomi qualche spicciolo. Alla domanda di cosa ne dovesse fare, risponde con due occhi luccicanti di umanità, ” Voglio far felice un cagnolino “. Gli spiccioli gli servivano per comprare del cibo a ” fulvetto “; aveva battezzato così quel cane randagio che gli si era avvicinato mentre giocava.

Con estrema dolcezza ed euforia teneva vicino a se quel cagnolino: lo guardava, l’accarezzava, gli parlava. Ad un certo punto il mio fanciulletto si zittisce. Quando Lorenzo sta così in silenzio, io sento una dolce paura, perchè so che mi sta per porre  una domanda difficilissima a cui dovrò rispondere. E la domanda puntualmente, arrivò:

Papà, perchè gli uomini non sono felici quanto” fulvetto “?

Ad un bambino di sei anni e mezzo, non potevo certamente rispondere la prima cosa che mi venisse in mente. Allora gli ho risposto: “Guarda, Lorenzo, è una domanda difficile ma cercherò di risponderti. Non adesso, lasciami un pò di tempo e risponderò alla tua domanda.

Nel frattempo, intorno a noi si radunò un pò di gente che guardava felice quel bambino “felice” (che, a sua volta, aveva donato felicità).

 Ci ho pensato molto, ma poi da “buon matematico” ho sintetizzato dicendo, che la felicità totale non esiste , ma esistono tante piccole felicità. Allora ho deciso di rispondere alla domanda di mio figlio attraverso emozioni positive racchiuse nell’ebook intitolato ” Fili di felicità

.

La particolarità di questo ebook, risiede nel fatto che nello scrivere le storie che inglobano le piccole dolcezze della vita, mi sono ispirato ai vostri blog (quindi vi citerò,svrivendo gli appositi link). Spero che ciò vi renderà felice.

A presto

Massimiliano De Maio

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